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Come diventare una Guida Escursionistica

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La storia -appena appena drammatizzata- di un esame per guida escursionistica con l’associazione britannica Mountain Leader Training

Siamo nel nord dell’Inghilterra, in mezzo alla brughiera spazzata dal vento: quattro candidati e un istruttore assetato di sangue.
Inizia l’esame di Mountain Leader.

Claire sembra molto tranquilla. Josh ha l’aspetto di un uomo duro, temprato dagli elementi. Secondo me simula.
Sally e io non facciamo il minimo tentativo di nascondere il panico crescente.
Anche perché avevo scioccamente cercato sul web esperienze e consigli di chi l’ha già fatto: come era fin troppo prevedibile, ha risposto tutta gente che vantava capacità di orientamento soprannaturali, o l’abilità di tessere nodi più rapidamente di quanto io riesca a dire “quello però non mi sembra un sentiero”.

Inizia l'esame
Primo giorno. Inizia l'esame

Henry si presenta e ci spiega come è organizzata la settimana. Non che non lo sappiamo già: lo fa per creare l’atmosfera giusta.
“Rivedremo tutto il programma”: orientamento, manovre con la corda, gestione del gruppo, e una spolverata di teoria qua e là.
“I primi due giorni rimarremo al centro, per la mini-spedizione degli ultimi tre sarete con Steve, il secondo esaminatore. E non vi preoccupate se siete un po’ nervosi. È normale”.
Nervosi? Ma quando mai: alla fine si tratta solo di passare la settimana col fiato di due istruttori sul collo, sostanzialmente 24 ore su 24.
“Per alleggerire un po’ la tensione, oggi sarà un’introduzione graduale -giusto per rompere il ghiaccio”.

A proposito di ghiaccio. Claire fa giustamente notare che l’intero altopiano è coperto di neve, mentre questa è una qualifica per l’accompagnamento in condizioni estive.
“Certo, ma è poca. E poi dovete essere pronti a qualsiasi condizione. Siete d’accordo?”. Ma certo, che sciocchi a non pensarci da soli.

 

Come se non ci fosse neve
Come se non ci fosse neve

“Perfetto. Allora, Claire, portaci… qui” dice, prendendo da parte la nostra compagna e indicando sulla sua mappa una piega impercettibile su una curva di livello assolutamente irrilevante.
Claire ci guida sul terreno innevato, mentre dietro di lei teniamo un occhio sulla bussola, uno sul terreno e un altro sulla mappa, per cogliere ogni minimo indizio che ci indichi il nostro percorso e la destinazione.
Claire si ferma un momento, controlla la mappa, si rivolge a Henry: “Eccoci”.
“Bene, grazie”.
Henry si avvicina poi a ciascuno di noi separatamente: “Puoi dirmi per favore dove pensi che ci troviamo?”
“Qui, boss”
“Bene, grazie”

Quel ‘bene, grazie’, detto con l’espressione più impassibile mai scolpita su volto umano, non vuol dire che la risposta è giusta: è lo stesso sia che tu abbia trovato con sicurezza una briciola di pane in mezzo alla nebbia, sia che ti sia perso nella tua camera da letto col navigatore in mano che ti grida di prendere la prima porta a destra.
Lo fanno assolutamente tutti gli istruttori: dicono che è per non condizionarti -positivamente o negativamente- durante l’esame. Che magari è anche vero, ma nel frattempo ti disintegra psicologicamente.

“Allora, Josh, adesso andiamo… qua”.
Ci alterniamo in questo modo per tutta la giornata, rivestendo a turno il ruolo di accompagnatore e accompagnati; prendiamo azimut, controlliamo il terreno, teniamo d’occhio il gruppo.

Puoi dirmi dove pensi che siamo?
Puoi dirmi dove pensi che siamo?

Il secondo giorno inizia già a colazione, con una dissertazione su ogni possibile fenomeno meteorologico fatta davanti a un gigantesco piatto di uova, pancetta e salsiccia -e pomodori al forno, funghi e crocchette di patate. Henry la chiama ‘aggiornamento meteo’, ma non avrebbe sfigurato in una tesi di dottorato: poco ci manca che parliamo anche degli effetti di marea sul moto delle lune di Giove. Passiamo poi alle più sottili questioni legali sull’accompagnamento in montagna.
Quando iniziamo a camminare il mio cervello è completamente in pappa.

“E quello cos’è?” chiede Henry all’improvviso.
“Mmm. Si. Quello. Un albero”. Ops. Josh si è fatto cogliere alla sprovvista.
“Si. Ma che albero” Henry non molla.
“Albero. Si. Ah, si, una quercia”.
“Mmmm… E che tipo di quercia” questo era un colpo basso. Anche perché ormai siamo andati parecchio avanti.
“Quercus robur, ovviamente”. Bravo Josh.
“Bene, grazie”.

Sally si è fermata: non le torna qualcosa, proprio nel suo turno di guida. È scossa, è convinta di essere finita fuori traccia. Henry la prende da una parte e la aiuta a con calma e pazienza a riprendere fiducia. Allora dietro quella maschera di pietra albergano anche dei sentimenti…
Poi si rivolge a me, di nuovo impassibile: “Ok, Lorenzo, questa è l’ultima tappa di oggi. Portaci a questo lago”.
Devo a questo punto precisare che ‘lago’ è un termine decisamente generoso per una macchiolina azzurra che occupa a malapena tre molecole di inchiostro sulla mappa.
Dopo aver girato un po’ in tondo mi fermo in mezzo a un piano innevato: “Eccoci” gli dico. Speriamo bene, questa è stata dura.
“Bene, grazie”.
Gli lancio uno sguardo a metà fra il disperato e l’assassino.
Mi studia un po’.
“Si, dovrebbe essere qui” dice alla fine guardando il suo GPS “sotto la neve”. Sono così commosso che gli perdono pure di aver barato.

'Siamo arrivati'
'Siamo arrivati'

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