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I villaggi di Zagoria - parte 2

Salendo al rifugio Astraka
Salendo al rifugio Astraka

Ma è tutto in salita! -Gaia mi ricorda a più riprese mentre ci inerpichiamo sul ripido sentiero che da Papingo porta al rifugio Astraka, mimando la pendenza col dorso della mano.

La salita è intervallata da bellissime fonti di cui approfittiamo per riposarci all’ombra, sgranocchiare le nostre barrette e bere enormi quantità d’acqua. Arriviamo al rifugio nel primo pomeriggio, e la mia compagna di trek decide di mostrare nella maniera più teatrale la sua stanchezza sdraiandosi a terra davanti al guardiano e alla coppia che abbiamo incontrato ieri.

Kalispera, amici” ci saluta l’uomo. “Kalispera”, rispondo. Non vi abbiamo visti a Papingo.
“Noi abbiamo dormito a Mikro Papingo: la maggior parte degli escursionisti pernotta là per accorciare la salita al rifugio. Forse voi eravate a Megalo Papingo?”.
Gaia apre un occhio e mi guarda di traverso.

La coppia sta per riscendere verso Papingo; l’uomo, che si scopre essere una guida locale, ci indica il sentiero verso Tsepelovo -quello che percorreremo domani.
“E’ una strada lunga” dice “ma molto bella. Kalodromo” conclude: buon viaggio.

Mangiamo in silenzio nel rifugio vuoto; al di là del tavolo, fuori dalla finestra, le colline rotolano via nella foschia della sera mentre il sole sprofonda nel Mar Ionio.

Esausti al rifugio
Esausti al rifugio
Tramonto al rifugio Astraka
Tramonto al rifugio Astraka

Dopo colazione salutiamo Giorgos, il custode del rifugio: è l’unico essere umano che vedremo per il resto della giornata.

La discesa è facile e veloce, per la soddisfazione di Gaia. Attraversiamo gli ampi prati sotto le pareti del monte Astraka. A sinistra le cime dei monti Gamila e Goura si innalzano come prue di gigantesche navi.

Il silenzio è irreale: non c’è un rumore -neppure il vento; non c’è un essere umano. Siamo invece assediati da miliardi di mosche, che ci seguono evitando con naturalezza i nostri frenetici quanto inutili sventolii di braccia.

Camminando sull'altopiano
Camminando sull'altopiano
Il massiccio Timfi
Il massiccio Timfi

Superiamo un piccolo edificio di pastori e scendiamo un avvallamento che si fa sempre più largo e profondo. E’ il Megas Lakka, un’altra gola dalle immense pareti rocciose che si getta nella più grande Gola di Vikos.

Proseguiamo sotto il sole a picco sui sentieri dell’altopiano, fra prati e gole scavate nelle rocce calcaree. Dall’alto di un crinale si vede una manciata di case a fondo valle: Tsepelovo.

Scendiamo nell’erba alta e fra gli alberi sparsi, il sentiero si allarga fino a diventare una strada sterrata: compare una casa, poi un’altra. Siamo arrivati. Peccato che non si riesca a trovare l’entrata del villaggio. Non sto scherzando. Un conto è orientarsi fra monti e valli sperdute, ma qui non si riesce a trovare un accidente di passaggio fra muri, recinzioni e cancelli sbarrati.

Megas Lakka
Megas Lakka

C’è un uomo per strada; un po’ scoraggiati, ci avviciniamo e cerchiamo di mimargli l’intenzione di entrare nel villaggio. Sembra capire: “Kato”, dice: giù. Si, grazie, quello lo sappiamo. Giù dove, esattamente.
L’uomo indica un vecchio cancello sgangherato che si apre su una strada invasa dalla vegetazione.

Pochi minuti più tardi sbuchiamo dalla jungla nella piazza principale di Tsepelovo con l’enorme platano, il ristorante e un piccolo gruppo di anziani che giocano a carte, bestemmiano in greco e bevono ouzo intorno a un tavolo.

Un’anziana signora ci dà il benvenuto nella sua pensione con un benevolo sorriso sdentato: i capelli bianchi sotto un velo nero, la schiena china sotto un abito nero, le calze nere e le scarpe nere, sembra essere uscita direttamente da una fiaba.

Non siamo soli nel ristorante stasera: alcuni tavoli sono occupati dai locali, e vicino a noi siede una coppia di turisti russi. Un anziano signore sembra studiarci da dietro il giornale: “Italiani?” chiede. Vive qui dalla Seconda Guerra Mondiale, e come molti è disilluso dai politici della lontana Atene, dall’Unione Europea, “da tutto”.

Tsepelovo
Tsepelovo

L’ultima tappa del trek inizia con un altro tratto in ripida salita, sotto il sole cocente. Ma non è lungo, e ormai siamo allenati e pronti ad affrontare qualsiasi sentiero senza versare nemmeno una goccia di sudore.
Ok, a parte il sudore.

Stiamo andando a Beloi, uno dei più celebri punti panoramici sulla Gola di Vikos. Fama meritata: un balcone naturale regala una splendida visuale della Gola in tutta la sua lunghezza.
Lo dividiamo con una coppia di Israeliani: sono arrivati dal vicino villaggio di Vradetho, che hanno raggiunto in macchina. Non riesco a trattenere un accenno, falsamente modesto, al nostro trek. I due simulano cortese ammirazione.

La Gola di Vikos da Beloi
La Gola di Vikos da Beloi

Rientriamo insieme a Vradetho, un minuscolo insediamento di pastori famoso per la Scala: un sentiero di 1100 gradini (uno più o uno meno) che scende in 39 vertiginosi tornanti un dislivello di oltre cento metri -praticamente in verticale. Fino al 1973 questo era l’unico collegamento di Vradetho con il mondo.

Gaia arriva all’ultimo gradino fingendo di completare il conto con la sua voce allegra: “…1099. E 1100. Precisi”. Che monella.

Un piccolo ponte di pietra ci porta al di là della gola fino alla strada asfaltata. Da qui, il villaggio di Kapesovo sembra essere formato esattamente da quattro case.
Una di queste ha una finestra aperta, e un’anziana signora vestita immancabilmente di nero ci rispone -immancabilmente- “Kato” quando chiediamo indicazioni per la guesthouse. Sono io, o tutto è ‘kato’ da queste parti…

I gradini di Vradetho
I gradini di Vradetho
Uno dei caratteristici ponti di Zagoria
Uno dei caratteristici ponti di Zagoria

E quindi scendiamo.

Passiamo qualche minuto fuori della massiccia porta di legno del cortile dell’albergo: è chiusa, e non si vede traccia di maniglie, campanelli o niente che ci possa aiutare ad aprirla -tranne, forse, un bastoncino dalla forma bizzarra.
Lo usiamo per bussare.

“Ah, non la conoscevate” dice la ragazza mentre ci apre “è una porta tradizionale. Basta spingere qua col bastone”, spiega indicando un gancio di legno sopra la porta.

“Non è molto sicura” commentiamo un po’ increduli “chiunque può aprirla”.

“Certo” sorride lei “Chiunque desideri entrare, qui è il benvenuto”.

Passiamo l’ultima notte nella guesthouse col suo camino e il semplice arredamento, lo stesso che si usava nel villaggio ai tempi dell’Impero Ottomano.

E’ ancora buio quando chiudiamo la tradizionale porta di legno e ci dirigiamo alla strada principale, dove l’ultimo scuolabus ci riporterà a Ioannina.

L'alberghetto di Kapesovo
Lorenzo alle prese con la porta dell'albergo

Due libri per continuare a viaggiare:

Brewster, “The River Gods of Greece”, Tauris (1997). Un viaggio lungo i corsi d’acqua della Grecia e nell’immaginazione degli uomini che li hanno popolati di dei, ninfe ed eroi.

Russell e Russell, “Ali Pasha, Lion of Ioannina”, Pen & Sword (2017). La storia e la leggenda di Ali Pasha, capo di briganti, eroe del folklore, uomo di stato, spietato tiranno.

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