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A spasso per la Kamchatka

Camminate fra vulcani, orsi, salmoni e saune della Kamchatka.
In viaggio con Avventure nel Mondo

Chiunque abbia mai giocato a Risiko sa che la Kamchatka serve solo a invadere l’Alaska lungo la linea tratteggiata. Ma… Voglio dire. Non ci si arriva via terra. Cioè. Teoricamente sì: è una penisola, è attaccata al resto del continente asiatico. Ma non c’è una strada. Anche via nave non è proprio uno scherzo. Quindi se si vuole andare a Petropavlovsk-Kamchatskij bisogna prendere un aereo.

E già dire “Pe-tro-pav-lov-s-cam-ciat-schii” è uno scioglilingua. Anche i Russi, nonostante il loro amore smodato per le lunghe sequenze di consonanti, l’abbreviano in “PK”. Per dire.

Arriviamo da Novosibirsk dopo essere stati palleggiati per una quarantina di ore fra scali, code, controlli e voli cancellati. L’aeroporto è un buco, il nastro per la consegna dei bagagli si trova in un tendone all’esterno -però, ovviamente, tutt’intorno c’è un milione di ettari di aeroporto militare. Ci viene a prendere Yulia dell’agenzia di PK. Siamo un pelino rimbambiti dal lungo viaggio, ma non c’è tempo per riposare: il programma prevede la partenza immediata per il vulcano Avachinsky. E al Programma bisogna obbedire.

Il nostro mezzo è un trasporto militare sovietico a 6 ruote motrici degli anni ‘50, riadattato per uso turistico. Lo guida il signorile Evgenij. A bordo ci dà il benvenuto Valeria, la giovane interprete, che ci presenta la guida Max e i nostri nuovi compagni di viaggio, Andriy e Dimitry (chiedo scusa in anticipo per le “i”, “j” e “y” seminate un po’ a caso. Ci ho provato, ma decidono loro). Poco più avanti raccogliamo il cuoco e un’inquietante quantità di provviste: ancora non sappiamo che saremo forzatamente nutriti per tutto il viaggio. Ma il Programma prevede tre pasti al giorno. E il Programma va rispettato.

Risaliamo il letto di un fiume, una trincea scavata nel friabile terreno vulcanico dalle acque di scioglimento dei ghiacciai, fino a un confortevole rifugio di legno; l’edificio accanto ha persino una banya, la versione russa della sauna (e non chiamatela sauna!), nella quale siamo invitati dopo cena. Si cerca di rompere il ghiaccio con i due nuovi amici russi, che all’inizio sembrano piuttosto freddini. Iniziano a sorridere al terzo bicchiere di vodka -scopriremo che Andriy prende molto sul serio i brindisi- e una volta nella banya ci spiegano che non è una vera banya se non ci si fa aria agitando un ramo di betulla. Il ramo qui non c’è, ma avremo altre occasioni.

Aeroporto PK
Al ritiro bagagli dell'aeroporto di PK

Fuori il cielo è limpido, il tramonto ci regala il panorama del vulcano Avachinskiy nella penombra: solo la cima è avvolta da un piccolo cappuccio di nubi.

Avachinsky
Il vulcano Avachinsky all'alba

Venuti in Kamchatka preparati a piogge delle dimensioni del Diluvio Universale, ci sembra quasi impossibile di iniziare il primo trek sotto il sole. Attraversiamo un piccolo torrente e ci facciamo strada fra cespugli e arbusti fino alla base di un lungo costone. Dietro di noi si innalza la cima innevata del Koryaskiy, il vulcano gemello -ma più alto e tecnicamente più impegnativo da scalare. Mulinelli di vapore ci avvolgono fra il bianco del cielo e il nero della terra.

Superiamo una postazione dove sono custoditi strumenti vulcanologici: qua i vulcani sono tutti attivi, e Max ci ricorda molto opportunamente che non sempre gli specialisti riescono a predire le eruzioni.

Avachinksy
Salendo il vulcano Avachinksy

Siamo ai piedi dell’ultima salita, che affrontiamo giustamente lungo la linea della massima pendenza. Dopo qualche minuto Dmitrij decide di tornare alla base: dirà poi che non aveva dormito bene la notte, ma avendo diviso con loro la camerata posso smentire con assoluta certezza. Non solo ha dormito come un sasso, ma ha pure russato come un rinoceronte raffreddato. E comunque i veri eroi non cercano scuse. Abbandonare il primo trek a metà salita è un disonore che si porterà dietro per tutto il viaggio.

Dopo una breve esplorazione della vetta arriva il momento del pranzo, amorevolmente portato fin quassù dal povero Max: ma allora le buste con panini e frutta secca che abbiamo mangiato prima cos’erano?

Avachinksy
Il cratere sommitale dell'Avachinksy

Scendiamo rapidamente per nevai e ghiaioni, chi più e chi meno interessato al mantenimento della posizione eretta. Il cielo si copre e iniziano a cadere sparse, pigre gocce d’acqua. A un’oretta dal campo siamo sotto un acquazzone, e la pioggia lungo la discesa rimarrà una costante dell’intero viaggio.

Alle 16 arriviamo, trionfanti e umidi, alla base. C’è giusto il tempo di cambiarsi prima di tornare a tavola. “E’ il pranzo”, dice Valeria, anche se sembra piuttosto confusa. Insomma: alle 4 del pomeriggio? Scopriremo poi che era la cena, che però andava fatta -in base al Programma- prima di rientrare a PK per la notte.

Avachinksy
L'ultimo sguardo su Avachinksy lungo la discesa

Arrivati a PK a un’ora decisamente più consona al consumo del pasto serale, decidiamo di fare due passi in città. Il nostro albergo si trova vicino al “centro” -una grande piazza dominata dall’immancabile statua di Lenin dal mantello forse un po’ sovradimensionato, e per questo chiamata “Batman” dalla gioventù locale. Poco più avanti c’è il lungomare, caratterizzato da una pavimentazione dal disegno irresistibilmente ipnotico. Lo seguiamo senza una meta precisa, ma con la segreta speranza di trovare qualcosa di sufficientemente simile a un bar da permetterci, ad esempio, di bere una birra.

E un bar c’è. Forse. Nel senso che vediamo un’insegna, ma non è chiarissimo se esiste anche il locale, se è abbandonato e se sia effettivamente il caso di entrare. E comunque, dov’è l’entrata.

“Hi! Where are you from”? ci chiede improvvisamente Nikita: è il primo -e ultimo- Russo che incontriamo che parla un buon inglese. Ha un sorriso splendido anche se gli mancano un po’ tutti i denti davanti. Ci indica una porticina nascosta fra i cespugli in fondo a una scaletta. Ci invita a entrare. Ma sì, dai.

Il locale esiste ed è anche carino. Ci sediamo, cerchiamo di decifrare il menu in attesa che succeda qualcosa. Ricompare Nikita: il cameriere non c’è, e comunque non parla inglese. Ci pensa lui. Che è un lavoro non facile con un gruppo di italiani, anche se ovviamente ben educati come noi. Lo aiuta il fatto che in cucina non hanno niente tranne hamburger e patate. E birra. Ordiniamo, non senza difficoltà, hamburger e patate. E birra.

PK
La Statua di Batman nel centro di PK

D’improvviso compare al tavolo Grisha, un amico di Nikita,  che non solo ha tutti i denti ma anche una chitarra. Vorrebbe dedicarci una canzone. Ma certo. E poi un’altra. E un’altra. E ancora. Insomma, Grisha ci regala la colonna sonora del viaggio, in particolare l’immortale “Bla bla bla” di cui ovviamente non capiamo nulla (per la cronaca, la canzone è “говорящие головы” di Noize MC. Siamo riusciti a farcelo dire da Valeria qualche giorno dopo ricorrendo a gorgheggi e mimi piuttosto imbarazzanti. Ma ne valeva la pena).

Il Programma prevede a questo punto l’escursione in elicottero. Il meteo è perfetto. Ci sediamo sui vecchi velivoli militari, indossiamo le cuffie e prevedibilmente non si sente più quello che dice la giovane guida –ma ha detto lei di farlo, ed è evidente che da queste parti non sono abituati all’insubordinazione. Sorvoliamo boschi e valli, circondati da vulcani ancora innevati: è un territorio completamente vuoto, kilometro dopo kilometro di niente.

Facciamo tappa alle sorgenti termali di Khodutka: un bacino naturale riscaldato dall’attività geotermica, circondato da prati e boschi e abitato -come tutta la Kamchatka peraltro- da miliardi di zanzare assetate di sangue. E poi il lago Kurilskoe con i suoi orsi, e la caldera del vulcano Ksudach che nel 1907 si è esibito in una delle eruzioni più colossali della storia.

Orsi
Gli orsi del Lago Kurilskoe

Rimbalziamo a PK per trasferirci subito verso la località di Nakichi. In questo modo ci troviamo già sulla strada per la lontana Kozyrevsk, la nostra prossima meta: il Programma non prevede un attimo di respiro -se non per mangiare ovviamente. Ci accoglie una casa di legno abbandonata, con il tetto sfondato; e poi un enorme palazzo in muratura di recente costruzione, anch’esso diroccato. È parte del “Nachikinski Sanatorium”, un progetto di espansione del centro di benessere che non deve aver avuto un successo scintillante. Meno male che le nostre camere si trovano nella parte agibile.

Collaudiamo subito i bagni termali. Nonostante la brochure canti le virtù terapeutiche di quest’acqua, a me è sembrato di immergermi in una specie di tè giapponese: calda e piena di foglioline verdi. I pochi centimetri di pelle emersa sono continuamente bersagliati da stormi di zanzare lunghe mezzo metro. Ce ne torniamo rapidamente tutti dentro. Anche perché è arrivato il gruppo di un altro operatore locale, dall’inquietante nome “Kombat Tours”: sono tutti intorno a un tavolo, sul quale il loro accompagnatore sta intonando sulla sua chitarra nientepopodimeno che… la nostra “Bla bla bla”!

Nachiki
La metà meno sana del Nachikinski Sanatorium

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