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Nelle Foreste della Cambogia

Attraverso la jungla cambogiana con un gruppo di adolescenti australiani.
In viaggio con World Challenge Expeditions.

‘No preoccupare, troveremo sedie’ mi sorride l’autista nella sua uniforme grigia.
‘Non sono preoccupato’ lo rassicuro. Mi chiedo soltanto cosa voglia dire con “trovare”: il pullman è così pieno che non c’entra più neanche una gallina, e i passeggeri continuano a salire.
All’improvviso, fra i grossi sacchi di zucchero che tappezzano il pavimento, si materializza una fila di traballanti sgabelli di plastica. Tutti seduti, possiamo andare.
‘Visto?’ mi dice l’autista ‘No preoccupare’. Gli passo una barretta di cereali in cambio di una manciata di riso bollito.
‘Non ero preoccupato’ ripeto mentre cerco di tenere fermo il mio sgabellino. Mi chiedo soltanto se sarà così per tutto il tragitto fino a Banlung.

La risposta è no: dopo soltanto poche ore di strada veniamo scaricati in mezzo a un incrocio da qualche parte nella Cambogia nordorientale.
‘No preoccupare’ mi dice di nuovo l’autista ‘collegamento fra pochi minuti’.
Lo saluto dal bordo dello sterrato mentre il nostro gruppo di dodici ragazzi australiani -più due insegnanti- si sparpaglia fra i tavolini di un ristorante di strada.

Aspettando la coincidenza
Aspettando la coincidenza

La coincidenza arriva un certo numero di ore più tardi. È un minivan da 9 posti. Come cavolo faremo a spremere 15 persone e il doppio di borsoni dentro quella carretta… La risposta è davanti ai nostri occhi: da un mezzo identico scende una fila di locali che ci salutano festosi appena incrociamo il loro sguardo. Smetto di contarli a 30. Sul serio.

Terra rossa, chiazze di foresta, colline lontane scorrono dai finestrini del minivan. Siamo a Banlung.
Viene fuori che il nostro albergo svolge anche -in maniera molto discreta- un’attività di bordello.
‘No preoccupa’ dice la ragazza alla reception, indicandomi i vari cartelli che vietano di portare in camera ospiti minorenni non autorizzate, droghe, bombe a mano e armi di distruzione di massa.
‘Non sono affatto preoccupato’ le rispondo con un sorriso, ‘però vorrei lo stesso le camere vicine fra loro e lontane dal… ehm… business, per favore’.

Il cartello alla reception
Il cartello alla reception

La lingua khmer ha qualcosa come 33 consonanti e 25 vocali: è semplicemente impossibile pronunciare il nome della nostra guida.
‘Tutti mi chiamano Johnny’ dice lui per aiutarci. ‘Johnny Walker’.
Come, scusa?
‘Cioè, in realtà non lo fa nessuno. Ma mi piace questo nome, perché sono un gran camminatore’.
E chi siamo noi per deluderlo.
Johnny porta le nostre amache per il trek; le prendiamo e le controlliamo una per una. Studio la mia a lungo, con malcelata ostilità: non sono mai riuscito a dormire in uno di questi oggetti.
Carichiamo I nostri zaini dietro a un grosso pickup. Saltiamo su, si parte.

Appena lasciamo la strada principale veniamo avvolti da una nube di polvere rossa. Deve essere uno spasso nella stagione delle piogge.
Dopo un’oretta siamo al villaggio fluviale di Kachon (consonante più, consonante meno). C’è gente nella piazza principale, e soldati con fucili mitragliatori.
‘Non ti preoccupare’ dice Johnny ‘stanno festeggiando. Oggi è il 34° anniversario della caduta di Pol Pot.’

Due lunghe canoe ci aspettano in riva al fiume. Navighiamo lentamente sull’acqua piatta, spinti controcorrente da due piccoli, sbuffanti motori in evidente difficoltà.

Lungo il fiume
Lungo il fiume

Sbarchiamo, consumiamo un leggero pranzo a base di riso bollito avvolto in foglie di banana. Iniziamo a camminare fra le risaie asciutte di un villaggio nascosto dagli alberi.

Entriamo nella foresta, uno dopo l’altro ingoiati dalla vegetazione. L’orizzonte collassa in una muraglia di canne di bambù e tronchi e liane; tutto ha esattamente lo stesso aspetto in ogni direzione, anche il piccolo sentiero che seguiamo è solo una di tante impercettibili tracce che si intrecciano nella jungla.

Verso la jungla
Verso la jungla

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