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A spasso per la Kamchatka - parte 3

Siamo di ritorno al campo verso le cinque del pomeriggio, dopo aver regolarmente preso un breve acquazzone in discesa dal Gorshkov, il secondo di una breve fila di coni secondari del complesso vulcanico. Il che significa che abbiamo nuovamente saltato il pranzo, e non c’è modo di convincere Valeria che per noi il “pranzo al sacco” vale per l’appunto come un pranzo. Riesco comunque a negoziare che quella delle 19:30 sarà la cena, giurando che non ci lamenteremo con i suoi capi per aver saltato un pasto. Olga preparerà in ogni caso un tè facoltativo alle 21, con biscotti e salmone.

Non so come, il ritorno a Kozyrevsk sembra ancora più lungo dell’andata. Forse perché sta ancora piovendo. Oppure perché con questa mattina sono finite le colazioni a base di salmone e latte condensato.

Arriviamo nel tardo pomeriggio -giusto in tempo per cena e banya. Seduti al caldo viene fuori che Andriy organizza un paio di spedizioni l’anno, l’ultima delle quali su un “facile 7000” nell’Himalaya indiano. Con Dimitry? Con Dimitry. E… scusa, ma il tuo amico riesce a salire fin lassù.

6x6
Il nuovo poderoso mezzo meccanico

Oggi abbiamo un nuovo fuoristrada. Il primo non andava bene. Troppo moderno. Questo invece è un vero gioiello: per prima cosa, non c’è quel decadente video che dava all’altro mezzo un’aria insopportabile di tecnologica mollezza. Poi l’interfono è guasto, con i cavi strappati: tanto per parlare con l’autista è sufficiente che Valeria si sporga dal finestrino urlando a pieni polmoni. Operazione semplificata dal fatto che il finestrino le resta in mano non appena cerca di aprirlo. Accanto ai nostri piedi corre un tubo arroventato: è il riscaldamento. L’autista Sasha, un omone gigantesco con due mani grandi come badili, ci spiega che non si può spegnere. È amore a prima vista, sia con il mezzo che con Sasha.

Ci dirigiamo verso il nuovo campo base a metà strada fra i vulcani Mutnovsky e Gorely: passiamo sotto le pendici del vulcano Vilyuchinsky, superiamo un cucciolo di orso lungo la strada; attraversiamo l’antica caldera del Gorely fra formazioni rocciose, nevai e torrenti; e poi ancora giù e su per canaloni. Sembra di essere su… ehm… montagne russe.

Gorely-Mutnovsky
Il campo Gorely-Mutnovsky

Mentre sistemiamo le tende vediamo Sasha girare con un’accetta tanto rudimentale quanto minuscola. Sta cercando legna per il fuoco. Cosa non banale, visto che tutt’intorno ci sono solo bassi arbusti verdi. Ma a sera troveremo una massa di materiale combustibile strappata non si sa bene da dove. Probabilmente dalla baracca vicina, utilizzata da un gruppo di cinesi; probabilmente a mani nude. Ma nessuno si mette a discutere con Sasha.

Valeria ricompare puntuale prima di cena. Anche oggi abbiamo saltato il pranzo, ma ormai non ci crede più neanche lei. Max ci avvisa di non allontanarci dal campo, e non uscire da soli la notte: in questa zona si aggirano degli orsi. Sembra un po’ un avvertimento ad uso turisti, ma scopriremo presto che bisogna veramente fare attenzione.

“Andriy, come si chiamano qui le Montagne Russe?”.

“Cosa sono le ‘Montagne Russe’? Ah, le giostre… Noi le chiamiamo Montagne Americane”. No, dai Andriy, ci stai prendendo in giro.

Max
La nostra eroica guida al campo Gorely-Mutnovsky

Ci svegliamo con un sole stupendo. Seduto a capotavola sotto il tendone mensa, Sasha strizza mezzo limone nel caffè prima di sorseggiarlo lentamente. Questo non è un uomo, è una forza primordiale. Me ne torno al mio salmone.

Zaini in spalla ci incamminiamo oltre il primo crinale verso il vulcano Mutnovsky. Non c’è un sentiero, proseguiamo per prati e nevai dietro la guida esperta di Max. 

Mutnovsky
In cammino verso il Mutnovsky

Ci fermiamo per una pausa al “mini Grand Canyon” del Mutnovsky, continuiamo a salire superando comitive di russi, francesi e cinesi. Oltre l’ultimo nevaio iniziamo a vedere le prime fumarole: il cuore del Mutnovsky è una serie incredibile di colori, minerali, fumi, odori. Tutto intorno, in alto, il candore abbagliante neve che copre la cresta sommitale.

A sera arrivano gli orsi. All’inizio è uno, un puntino lontano sulle pendici del Gorely: ci affolliamo ai margini del campo per vederlo con i binocoli.

Poi ricompare più in basso; si intravedono i suoi cuccioli in fondo al nevaio. Poi l’orsa inizia a salire verso il nostro accampamento. Avrà sentito l’odore di tutto il salmone che ci portiamo dietro.

Si sta decisamente avvicinando: Max scende verso il nevaio e spara in aria; il rumore e l’agitarsi della nostra guida fa deviare l’orsa, che devia verso il crinale più in alto. Max la segue a distanza, magari sta semplicemente cercando di aggirarci. È la stessa orsa che si sposta fra questo campo e quello alla base del vulcano Gorely: era là ieri quando al campo si trovavano altri due gruppi, ha fatto razzia nel loro tendone mensa -e non è entrata dalla porta. Scompare dietro un crinale, Max dice che non ritornerà.

Scusa Max, ma è ovvio che non tornerà: senza nulla togliere ai tuoi innegabili meriti, non è né per te né per il tuo fucile. Ha visto Sasha, e adesso si sta affrettando verso il capo opposto della Kamchatka.

Mutnovsky
Il "mini Grand Canyon" del Mutnovsky
Mutnovsky
Nella caldera del Mutnovsky

La salita al Gorely è veramente breve -ce la fa anche Dimitry- e una volta in vetta siamo accolti da una duplice caldera. All’orizzonte il verde spento e il grigio di vallate, vulcani e bassi nuvoloni neri. Scendiamo dall’altro lato del vulcano per raggiungere il campo a piedi: passiamo nella zona dove ieri si aggirava l’orso. Tutto intorno un panorama vuoto, immenso, primordiale.

Gorely
L'altro campo al Gorely dopo la visita dell'orso
Gorely
In vetta al vulcano Gorely

Domani sarà il nostro ultimo giorno con i due Russi, e chiaramente questa sera bisogna brindare in maniera adeguata. Tutti in cerchio intorno al fuoco, Andriy e Max ci commuovono con parole di sincero affetto per un gruppo di sconosciuti che li ha un po’ tartassati, ma alla fine gli sono entrati nel cuore.

Si fa buio. Salta fuori una chitarra, inizia una serie di canti cirillici con l’accompagnamento di Andriy e di Natalia, la cuoca dell’altro gruppo comparsa come un diavolo della Tasmania in un mulinello di abiti colorati. Compare una bottiglia di vodka distillata in casa -da chi e in che modo è meglio non chiedere. Cantiamo e beviamo fino a notte fonda, i volti scaldati dal fuoco e dall’alcool nel cuore della Kamchatka.

Kamchatka
L'ultimo sguardo sul panorama di un altro mondo

Due libri per continuare a viaggiare:

Markhinin, “Pluto’s Chain”, University Press of the Pacific (2005). Un vulcanologo racconta i suoi studi e le sue esplorazioni fra i vulcani della Kamchatka.

Brown, “Island of the Blue Foxes”, da Capo Press (2017). Il drammatico racconto di una delle più grandi spedizioni scientifiche della storia: la seconda spedizione in Kamchatka di Vitus Bering.

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